venerdì 31 gennaio 2014

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sabato 10 marzo 2012

L'opinione del professor Sabbatucci

Da quando seguo da vicino il processo Marta Russo - e sono passati purtroppo diversi anni - ho sempre espresso la convinzione che tutta l'architettura dell'inchiesta (e poi la linea accusatoria dei pubblici ministeri in dibattimento) fosse basata su un presupposto errato e comunque non dimostrabile: l'indicazione della finestra della stanza 6 della Facoltà di Giurisprudenza come luogo di provenienza dello sparo. Sulla base di quell'indicazione, infatti, l'indagine è stata indirizzata verso i possibili frequentatori della stanza (fra i quali Scattone e Ferraro sono stati selezionati per esclusione); e sempre su tale base sono state acquisite, coi metodi e nelle circostanze che tutti conosciamo, le due testimonianze-chiave del processo, quelle di Maria Chiara Lipari e di Gabriella Alletto. A entrambe le testimoni è stato detto in sostanza: "Noi sappiamo per certo che il colpo è partito a quell'ora da quella stanza; e sappiamo anche che tu a quell'ora eri lì; dunque, se non confermi ciò che noi già sappiamo, sei colpevole o complice". Come su questa base siano stati suscitati forzosamente i ricordi e costruite le testimonianze è storia fin troppo nota: chi non la ricordasse può leggere i verbali di interrogatorio di Maria Chiara Lipari o la trascrizione (impressionante e illuminante per chiunque la legga con animo sgombro da pregiudizi) del famoso video relativo all'interrogatorio di Gabriella Alletto.
Il punto era - ed è - che il presupposto su cui il tutto si fondava non esisteva. O meglio consisteva in una perizia d'ufficio, subito contestata, che stabiliva la compatibilità delle particelle trovate sul davanzale con i residui dello sparo omicida. Questa perizia - che comunque non sarebbe stata sufficiente per fondare un'inchiesta e per escludere altre possibili ipotesi sul luogo di provenienza (fra cui quella, ben più plausibile, che faceva riferimento al bagno dei disabili al piano terra) - era già stata confutata dal perito nominato dalla corte al processo di primo grado. Ma, chissà perché, la corte stessa aveva ritenuto di tenere quella perizia nella stessa considerazione del parere di un privato cittadino.
Una nuova perizia, anch'essa disposta dalla corte nel processo d'appello, smonta completamente, sulla base di analisi sofisticatissime, l'ipotesi di partenza: le tracce trovate sul davanzale non sono compatibili con i residui dello sparo. Detto in altri termini, non solo manca la certezza che lo sparo sia partito da quella finestra (e questo già lo si sapeva), ma c'è qualche buon motivo in più per pensare che lo sparo non sia partito da lì; e che dunque tutto l'improbabile scenario costruito dall'accusa (due giovani studiosi incensurati si procurano, non si sa come, una pistola, mai ritrovata, e la usano per sparare a casaccio da una finestra colpendo a morte la povera studentessa: il tutto in un luogo aperto al pubblico e alla presenza di testimoni che li conoscono bene) sia fondato praticamente sul nulla.
A questo punto qualcuno avrebbe potuto aspettarsi che accusa e parte civile riconoscessero di aver imboccato una pista sbagliata (il loro ruolo li vincola infatti alla ricerca della verità, non alla condanna degli imputati comunque ottenuta) e che la corte, come avviene nei film americani, mandasse assolti gli imputati con tante scuse, senza nemmeno protrarre il dibattimento fino ai suoi esiti ultimi. In Italia, si sa, le cose non vanno così. Ma stupisce ugualmente sentire parte civile e pubblica accusa avvinghiarsi a quanto loro resta in mano con argomenti a dir poco sconcertanti. Si afferma che le perizie (solo quelle favorevoli alla difesa, evidentemente) sarebbero un trascurabile dettaglio tecnico, da cui non si potrà mai ottenere una qualsiasi certezza, dimenticando che tutta l'inchiesta è nata proprio da una perizia (sbagliata). Si ribadisce il valore fondamentale delle testimonianze Lipari e Alletto senza riflettere nemmeno un momento sul modo in cui sono maturate e sulle circostanze in cui sono state rese: sempre, lo ripetiamo, a partire dalla certezza esibita dagli inquirenti circa la provenienza dello sparo. Ci si esime insomma da qualsiasi verifica di attendibilità e di sincerità: come se le testimonianze, una volta consegnate ai verbali, assumessero, per ciò stesso, la dimensione di prova documentale, alla stregua di un'impronta digitale o di una inequivoca traccia di sparo. E' un altro aspetto di questo sciagurato processo su cui varrebbe la pena riflettere un po'.


Giovanni Sabbatucci

(docente di Storia contemporanea, Università Sapienza)

domenica 2 ottobre 2011

La guerra dei cento anni

Con l’espressione ‘guerra dei cento anni’ si indica l’insieme dei conflitti tra Francia e Inghilterra combattuti tra il 1337 e il 1453: furono coinvolte anche le Fiandre e la Castiglia.
Cause del conflitto: 1) nel 1066 Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, divenne re d’Inghilterra creando così un rapporto ambiguo fra i due paesi separati dalla Manica; 2) il territorio dell’Aquitania (o Guienna), cioè la zona di Bordeaux, fu contesa fra Luigi VI di Francia e Enrico II d’Inghilterra; 3) le Fiandre erano legate politicamente alla Francia ma economicamente all’Inghilterra, e ciò era motivo di contrasto; 4) la Francia aveva legami con il regno di Scozia.
Nella guerra dei cento anni si possono distinguere due fasi: 1) fase feudale dinastica (1337-1420); 2) fase nazionale (1420-1453).

Fase feudale dinastica
Quando nel 1328 Carlo IV di Francia morì senza eredi, la corona sarebbe dovuta passare a Edoardo III d’Inghilterra (il parente più prossimo), ma i feudatari francesi gli preferirono Filippo di Valois, perché nato in Francia, che salì al trono nello stesso 1328 con il nome di Filippo VI. Edoardo III accettò il fatto compiuto, ma quando Filippo VI appoggiò le rivolte scozzesi e ostacolò il commercio inglese nelle Fiandre decise di cambiare atteggiamento e rivendicò la corona francese. Le Fiandre si ribellarono al giogo francese, dandosi un’organizzazione autonoma sotto la protezione inglese. L’esercito inglese era ben armato e faceva uso delle bombarde e dell’arco lungo, dotato di una notevole forza di penetrazione. Gli inglesi sul mare sconfissero la flotta francese all’Ecluse (1340), ma si impantanarono nell’inutile assedio di Tournai.
Con la mediazione del papa Benedetto XII, che voleva riunire francesi e inglesi in una nuova crociata, parve che si potesse giungere ad una pace. Ma la morte senza eredi di Giovanni III, duca di Bretagna, fu motivo di una nuova contesa dinastica tra Francia e Inghilterra. Sbarcato in bassa Normandia, Edoardo III ottenne una grande vittoria sui francesi a Crécy (1346) ed espugnò Calais (4-8-1347) dopo un anno di assedio. Ma il propagarsi della peste nera portò a un periodo di sospensione delle ostilità fino al 1355.
Il figlio del re inglese, Edoardo di Galles detto il Principe nero, ottenne alla ripresa delle ostilità una nuova vittoria a Poitiers (1356), catturando addirittura il nuovo re di Francia Giovanni II. La Francia attraversò un periodo di grave crisi. Il principe reggente Carlo incontrò a Parigi l’ostilità dei borghesi e, politicamente, quella di Carlo il malvagio, re di Navarra. La rivolta antinobiliare dei contadini (detta “jacquerie”) fu rapidamente soffocata. La posizione di Carlo si rafforzò, mentre una nuova campagna militare di Edoardo III (1359-60) si concluse nella Beauce (a sud di Parigi) in modo fallimentare. Ne seguì l pace di Brétigny-Calais (1360) che riconosceva Calais e la Guienna agli inglesi.
Il principe Carlo era ormai divenuto re di Francia con il nome di Carlo V e riorganizzò la struttura amministrativa e militare del regno: egli sconfisse Carlo il malvagio a Cocherel (1364) e intervenne nella lotta per la successione al trono di Castiglia fra Enrico di Trastamara (che, appoggiato dai francesi, avrà la meglio) e Pietro il crudele (aiutato dagli inglesi). Il conflitto tra Francia e Inghilterra continuava, ma le sorti francesi si risollevarono grazie all’appoggio della Castiglia e della Scozia, sicché verso il 1380 all’Inghilterra restavano solo Bordeaux e Calais. Dopo la morte di Carlo V di Francia il conflitto ebbe un periodo i stallo, a causa dei gravi problemi interni che affliggevano sia Inghilterra che Francia. Riccardo III (1377-99) in Inghilterra dovette fronteggiare i moti dei contadini e fu infine spodestato dai Lancaster (Enrico IV nel 1399, a cui succedette Enrico V nel 1413). Carlo VI (1388-1422) in Francia, per via della minore età, era limitato nell’esercizio delle sue funzioni da parenti e consiglieri. In seguito Carlo VI, a partire dal 1392, fu colpito da ripetute crisi di follia: si scatenò così una lotta per il potere che portò all’assassinio (1407) di Luigi d’Orléans, fratello del re, e alla formazione di due fazioni (armagnacchi e borgognoni).
Capo dei borgognoni era il duca di Borgogna, Giovanni senza paura, che si alleò con le Fiandre e con l’Inghilterra di Enrico V, sconfiggendo i francesi ad Azincourt (1415): una battaglia che vide un’ottima prova dell’esercito inglese. Il re di Francia fu così indotto a firmare il trattato di Troyes, con cui dichiarava Enrico V suo erede, concedendogli in moglie la figlia Caterina. In questo modo la Francia fu spaccata in due, perché la parte nordorientale era in mano degli anglo-borgognoni, quella meridionale degli armagnacchi.
Morti Carlo VI ed Enrico V, a Parigi fu proclamato r di Francia e d’Inghilterra Enrico VI (figlio di Enrico V), mentre a Bourges fu proclamato re Carlo VII.

La fase nazionale
La debolezza di Carlo VII condusse alla ripresa delle ostilità e all’assedio di Orléans. Giovnna d’Arco, guidata da arcane voci, si presentò a Carlo VII, rianimò i francesi e, liberata Orléans (8-5-1429) fece consacrare a Reims Carlo VII come re di Francia (8-7-1429). Catturata a Compiègne dai borgognoni nel 1430, Giovanna d’Arco fu processata e condannata al rogo come eretica (1431).
Ma intanto la guerra era diventata “nazionale” e Carlo VII si accordò con il duca di Borgogna Filippo il Buono (succeduto al padre Giovanni senza paura) ottenendo Parigi con il trattato di Arras (1435), e in seguito stipulò con gli inglesi la tragua di Tours (1444). Gli inglesi cominciavano a cedere e i francesi ripresero la Normandia con il successo di Formigny e la Guienna con la vittoriosa battaglia di Castillon (1453).
La guerra si esauriva di fatto, senza alcun accordo formale, con gli inglesi che avevano di nuovo ceduto tutte le loro conquiste sul suolo francese (tranne Calais). Solo nel 1475, con il trattato di Picquigny, la guerra fu conclusa anche formalmente. Le principali conseguenze della guerra dei Cento anni furono la separazione chiara tra Francia e Inghilterra e la nascita dell’idea moderna di nazione.

© Giovanni Scattone 2011