giovedì 5 maggio 2011

Francesco Crispi

Iscrittosi all’Università di Palermo, fondò il giornale letterario “L’Oreteo”, di ispirazione romantica. Laureatosi in legge, fu avvocato a Napoli. Scoppiato il ’48 a Palermo, fu uno dei capi dell’estrema sinistra autonomista. Tornata Palermo nelle mani dei Borboni (maggio 1849) emigrò in Piemonte, dove scrisse “Ultimi casi della rivoluzione siciliana” (1850). Partecipò al fallito tentativo insurrezionale mazziniano di Milano (6-2-1853), fu esiliato a Malta dove fondò il giornale “La valigia”. Espulso anche da Malta, andò a Londra nel 1855 dove collaborò con Mazzini e pubblicò il saggio “Ordinamenti politici delle due Sicilie”. Vicino al mazzinianesimo, nel 1859 condannò la guerra regia, recandosi segretamente in Sicilia per prepararvi l’insurrezione; Crispi fu in effetti la mente politica della spedizione garibaldina dei Mille.
Fu spesso in contrasto con i moderati cavouriani e, dal 1861, fu uno dei maggiori esponenti della sinistra nel nuovo parlamento italiano. Convintosi che la monarchia era divenuta ormai simbolo dell’unità nazionale, Crispi si allontanò dalle idee repubblicane di Mazzini e sostenne (1864) che “la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe”. Crispi aderì dunque al regime sabaudo, pur rimanendo nelle file della sinistra, di cui il suo giornale “La riforma” fu uno degli organi principali.
Caduta la Destra (1876) divenne presidente della Camera. Larga risonanza ebbe il viaggio che egli fece a Berlino (1877) per incontrarvi il cancelliere germanico Bismarck (per il quale aveva molta ammirazione). Ministro dell’interno nel governo Depretis (1877), Crispi dovette dimettersi nel marzo 1878 perché accusato di bigamia (avendo sposato nel 1877 Lina Barbagallo con rito civile mentre era ancora in vita Rosalia Montmasson con cui aveva contratto matrimonio religioso nel 1854): dall’accusa sarà comunque prosciolto.
Già in quegli anni, segnati da delusioni in politica estera, Crispi cominciava ad apparire come “l’uomo forte” atteso da una vasta cerchia di opinione pubblica, da esponenti del patriottismo risorgimentale e da poeti come Carducci. Vasta eco ebbe pertanto il suo ritorno al governo nel 1887, prima come ministro dell’interno e poi come presidente del consiglio. Cercò di ammodernare e di rendere più funzionale lo stato: furono emanate nuove leggi sulla pubblica sicurezza, sulle amministrazioni locali (elettività dei sindaci), sulle opere di beneficenza (con un maggior controllo statale su di esse).
In politica estera Crispi fu favorevole alla Triplice Alleanza (con Austria e Germania) e contrario all’irredentismo e alla Francia (“guerra doganale” con i francesi, disastrosa per l’economia italiana). Promosse l’espansione coloniale, cercando di estendere il protettorato italiano a tutta l’Abissinia (trattato di Uccialli con il negus Menelik, 1889). In Italia furono quelli anni di grave crisi economica (miseria diffusa, cresciuta emigrazione, crolli bancari e finanziari). Strati popolari e borghesia del settentrione contestarono duramente il governo di Crispi, accusato di megalomania. Il governo Crispi cadde nel 1891, ma due anni dopo fu invocato il suo ritorno (fine 1893) in un momento di crisi drammatica: in Sicilia era cominciato il moto dei Fasci siciliani dei lavoratori, mentre il mondo politico era investito dallo scandalo della banca romana.
Riassunta la presidenza del consiglio, Crispi represse il moto dei Fasci mediante l’impiego dell’esercito e dello stato d’assedio; nel 1894 una legge decretò lo scioglimento di qualunque “associazione sovversiva”, fra cui persino il partito socialista. Fu ammessa la possibilità dello sciopero, ma Crispi sostenne sempre che le rivendicazioni operaie dovevano restare strettamente nell’ambito della legalità, che era alla base del regime liberale e capitalistico.
Contro il “reazionario” governo Crispi si schierò la coalizione di tutte le forze di sinistra, dai radicali ai socialisti; infine il disastro militare di Adua (1-3-1896) portò al tramonto di Crispi. Successivamente l’autoritario Crispi acquisterà per le correnti nazionalistiche e per il fascismo un valor di simbolo e di precursore.

© Giovanni Scattone 2011