domenica 1 maggio 2011

Wittgenstein

Nato a Vienna, Ludwig Wittgenstein (1889-1951) studiò ingegneria nelle Università di Berlino e Manchester, ma abbandonò questi studi per trasferirsi a Cambridge, dove si dedicò all’analisi dei fondamenti logici della matematica, sotto la guida di Russell. Durante la prima guerra mondiale si arruolò come volontario nell’esercito austriaco, ma fu catturato dagli italiani e imprigionato a Cassino. In questo periodo scrisse la sua opera fondamentale, il Tractatus logico-philosophicus, che fu pubblicato in tedesco nel 1921 e l’anno successivo in inglese, con una prefazione di Russell. Dal 1920 al 1926 Wittgenstein si dedicò all’insegnamento elementare in Austria, ma nel 1929 fece ritorno a Cambridge, dove insegnò filosofia all’Università fino al 1947. Tra i numerosi scritti pubblicati postumi vanno ricordate le Ricerche filosofiche, la Grammatica filosofica e Della certezza.
Il problema fondamentale affrontato nel Tractatus è quello relativo alla natura del linguaggio e del significato: Wittgenstein esamina in che modo la struttura del nostro linguaggio determina ciò di cui è possibile parlare e ciò su cui invece si può solo tacere. Il linguaggio è la totalità delle proposizioni ed è il veicolo del nostro pensiero: la struttura del linguaggio rispecchia quella della realtà. Le proposizioni sono divisibili in tre classi: a) In primo luogo, vi sono le proposizioni ‘dotate di senso’ (sinvoll), che parlano del mondo e possono essere vere o false a seconda di ciò che accade. Ad esempio, la proposizione “sta piovendo” è vera se effettivamente in questo momento sta cadendo la pioggia, falsa se il cielo è terso: si può quindi affermare che “il senso della proposizione è la sua concordanza o discordanza con le possibilità del sussistere e non sussistere degli stati di cose”. b) In secondo luogo, vi sono quelle proposizioni la cui verità o falsità può essere stabilita mediante il semplice esame della loro forma logica, senza bisogno di un confronto con l’esperienza. Si tratta da un lato delle tautologie, che sono sempre vere indipendentemente da ciò che accade (ad esempio, la proposizione “o piove o non piove” è vera a prescindere dalle reali condizioni meteorologiche), e dall’altro delle contraddizioni, che sono invece sempre false (ad esempio, “piove e non piove”). Secondo Wittgenstein la logica e la matematica sono formate appunto da proposizioni che, come le tautologie e le contraddizioni, non parlano del mondo ma mostrano la struttura logica del linguaggio. c) In terzo luogo, infine, vi sono le proposizioni che non sono né tautologie o contraddizioni, né enunciati confrontabili con la realtà: si tratta di pseudo-proposizioni ‘insensate’(unsinnig), come quelle della filosofia tradizionale e della metafisica. Per il Wittgenstein del Tractatus la filosofia non è una dottrina ma un’attività, consistente essenzialmente nel chiarire il linguaggio: “Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale, [...] e poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che a certi segni nelle sue proposizioni egli non ha dato significato alcuno”.
Per Wittgenstein il mondo consiste nella totalità dei fatti: esso è una struttura logica formata da ciò che è contingente, ossia da ciò che può essere vero o falso. Le proposizioni sensate rappresentano i fatti, ed è quindi il confronto con essi che ci dice quali proposizioni sono vere e quali false. Tuttavia, il linguaggio non è un’immagine pittorica della realtà, ma ne è un modello: ad esempio, mentre una fotografia assomiglia alla persona che vi è ritratta, la parola “mela” non assomiglia a una mela reale, ma si limita a rappresentarla, costituendone un modello. Se le proposizioni dotate di senso, che possono essere vere o false, parlano del mondo, le tautologie e le contraddizioni non ‘dicono’ niente: esse ‘mostrano’ la struttura formale che linguaggio e mondo hanno in comune. Le proposizioni ‘insensate’ della filosofia e dell’etica, infine, tentano di dire l’indicibile; lo stesso Tractatus, che affronta problemi schiettamente filosofici, è paragonato da Wittgenstein a una scala che dobbiamo gettare dopo averla usata: “Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che vi è salito)”. Il Tractatus si conclude con la perentoria affermazione per cui “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”. Il senso della vita e tutto ciò che è più profondo e più importante supera i limiti del dicibile: “Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta. La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso”.
Il Tractatus è l’unica opera, a parte le Note sulla forma logica e qualche altro scritto minore, pubblicata in vita da Wittgenstein. Egli lasciò peraltro una notevole quantità di appunti e anche un testo quasi pronto per la stampa, le Ricerche filosofiche; esse furono pubblicate però solo nel 1953, due anni dopo la morte dell’autore. In quest’opera sono riprese, sviluppate e talvolta criticate numerose tesi del Tractatus, e viene introdotta la nozione di gioco linguistico. La parte iniziale delle Ricerche filosofiche sviluppa una critica alla concezione che vede nel linguaggio soltanto un insieme di nomi denotanti oggetti del mondo; questa concezione, che Wittgenstein fa risalire a S.Agostino ma che ha influenzato anche l’impostazione del Tractatus, è legata al procedimento della ‘definizione ostensiva’, che consiste nel definire che cos’è, ad esempio, una borsa indicandone appunto una e contemporaneamente dicendo: “Quella è una borsa”. Wittgenstein osserva che la definizione ostensiva è un processo ambiguo perché, quando indico una borsa, chi mi osserva può pensare sia che mi stia riferendo alla borsa nel suo insieme, sia che io voglia invece indicare la fibbia della borsa, o il suo manico, o il suo colore, ecc. Il modo in cui guardiamo e percepiamo gli oggetti del mondo non dipende dalle definizioni ostensive, ma da un insieme di significati condivisi, dati dal modo in cui usiamo le parole. Il linguaggio non ha solo il compito di denominare oggetti, ma può svolgerne diversi: le parole hanno fra di loro funzioni differenti e il significato delle espressioni linguistiche si mostra nel loro uso. Per evidenziare le molteplici funzioni del linguaggio, Wittgenstein paragona quest’ultimo a un insieme di giochi che, come i membri di una stessa famiglia, hanno fra loro una somiglianza solo parziale: “Esistono [...] innumerevoli tipi differenti d’impiego di tutto ciò che chiamiamo ‘segni’, ‘parole’, ‘proposizioni’. E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici [...] sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati”. Una parte delle Ricerche è dedicata infine all’analisi dei concetti di ‘regola’ e di ‘linguaggio privato’. I giochi linguistici, come tutti i giochi, hanno delle regole: ma che cosa significa seguire una regola? E come si fa a capire se si sta sbagliando nel seguire le regole di un gioco (linguistico) o se si sta invece giocando con regole diverse? Ancora una volta, l’unico riferimento possibile per rispondere a queste domande è l’uso del linguaggio: “Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni)”. Indipendentemente dalle sue regole, un gioco linguistico non può mai essere un linguaggio privato, comprensibile solo all’individuo che lo utilizza; il linguaggio è infatti un’attività intrinsecamente intersoggettiva: “Nel linguaggio gli uomini concordano. E questa non è una concordanza delle opinioni, ma della forma di vita”.
Il pensiero di Wittgenstein ha esercitato una profonda influenza sulla filosofia del Novecento: il Tractatus è stato lungamente discusso dai membri del Circolo di Vienna ed è rimasto un punto di riferimento costante per la corrente di pensiero neopositivistica, mentre le Ricerche hanno influenzato soprattutto lo sviluppo della filosofia analitica nei paesi anglosassoni. La critica più recente ha sottolineato peraltro i numerosi aspetti di continuità fra le due opere principali di Wittgenstein, e la conoscenza di appunti e diari inediti ha consentito di comprendere meglio le linee di sviluppo del suo pensiero.

© Giovanni Scattone 2011