venerdì 29 aprile 2011

Israele e la questione mediorientale

All’origine della creazione dello stato d’Israele sono il movimento sionista e lo smembramento dell’impero ottomano. Con una celebre dichiarazione (2-11-1917) il ministro degli esteri britannico Balfour espresse la simpatia del suo governo per la creazione di uno stato ebraico. Poco dopo, l’entrata del generale inglese Allenby a Gerusalemme (11-12-1917) pose fine a quattro secoli di dominio ottomano in Terrasanta. Nei successivi 30 anni di mandato britannico sulla Palestina si ebbe la lenta formazione di uno stato ebraico. La crescente immigrazione di ebrei fu all’origine di rivolte arabe (1920-21, 1929, 1936-39), nonostante un formale accordo (1919) fra il capo dei sionisti Weizmann e l’emiro Faysal (che si era impegnato a consentire l’immigrazione ebrea). Nel 1933 l’Inghilterra promise agli arabi di formare uno stato palestinese, ma la seconda guerra mondiale e la Shoah indussero i 550000 ebrei – circa 1/3 della popolazione dell’intera Palestina – ad avanzare nuove rivendicazioni. Nel 1942 Ben Gurion, presidente dell’Agenzia ebraica (che rappresentava gli ebrei della Palestina), propose un programma mirante a formare uno stato ebraico indipendente. Dopo la fine della guerra l’incapacità inglese di assicurare la pace nella regione portò l’ONU a decidere (29-11-1947) di spartire la Palestina fra uno stato ebraico e uno arabo, rendendo Gerusalemme città internazionale. I palestinesi arabi rifiutarono l’accordo e cominciò un periodo di guerriglia. Il mandato britannico sulla Palestina cessò ufficialmente il 15-5-1948: il giorno prima Ben Gurion aveva proclamato lo stato d’Israele. La lega araba attaccò militarmente Israele, che riuscì però  respingere gli assalti finché si giunse al provvisorio armistizio di Rodi (luglio 1949).
Il governo di Israele fu guidato dal centro-sinistra, che riorganizzò l’esercito, istituì un apparato burocratico e una struttura scolastica unificata: intanto la popolazione ebraica aumentava. Nel 1952 Israele accettò le riparazioni offerte dalla RFT (35 miliardi di marchi) e si avvicinò decisamente agli Stati Uniti, mentre Stalin negli ultimi anni di regime si avvicinava ai paesi arabi in funzione antisemita.
Nel 1954 la tensione fra Egitto e Francia portò a un avvicinamento tra Parigi e Gerusalemme. La seconda guerra arabo-israeliana si concluse con la vittoria militare israeliana ma con un trionfo politico dell’Egitto, sostenuto da USA e URSS contro le pretese franco-inglesi. Negli anni successivi si accentuarono i conflitti interni a Israele tra gli immigrati di origine africana e orientale (sefarditi) e quelli di origine occidentale (ashkenaziti). La lotta politica crebbe di intensità e il leader fino allora indiscusso, Ben Gurion, dovette dimettersi dal premierato nel 1963. Il nuovo capo del governo, Eshkol, approfondì l’alleanza con USA ed Europa occidentale, ma dovette anche affrontare gravi problemi economici. Nel maggio 1967 il presidente egiziano Nasser annunciò la chiusura dello stretto di Tiran alle navi israeliane. Israele reagì (5-6-1967) attaccando Egitto, Giordania e Siria, sconfiggendole in soli sei giorni. Il nuovo primo ministro Golda Meir non seppe però sfruttare il notevole vantaggio territoriale ottenuto con la guerra dei sei giorni per risolvere finalmente il problema palestinese. Così negli anni Settanta le rivendicazioni dei palestinesi arabi volte a ottenere un loro stato indipendente cominciarono a raccogliere consensi anche in occidente.
Israele si trovò così politicamente isolata, in lotta con l’URSS e in posizione di subordinazione rispetto agli USA. Le armate israeliane si lasciarono sorprendere il 6-10-1973 (giorno del Kippur) da un attacco egiziano e siriano. L’attacco fu respinto dopo 16 giorni di lotta sanguinosa, ma sottolineò la debolezza dei 3 milioni di israeliani di fronte alla coalizione araba, appoggiata dall’URSS e capace di usare le riserve petrolifere come arma di ricatto economico contro i paesi occidentali sostenitori di Israele.
In Israele nuove tensioni socio-economiche furono provocate dallo sviluppo industriale e urbano, nonché dalle continue spese militari. Accettando un arretramento del confine nel Sinai, il nuovo governo Rabin riuscì a negoziare un accordo con l’Egitto (favorito dagli Stati Uniti). In politica interna Israele migliorò gli armamenti e aumentò le attività produttive, consentendo un notevole aumento del reddito nazionale e pro capite. Tuttavia una serie di scandali finanziari e l’incapacità di tenere a bada una serie di scioperi costrinsero Rabin a dimettersi (1976). Le nuove elezioni del maggio 1977 videro il Partito laburista perdere la maggioranza che aveva da trent’anni a favore di una coalizione di centro-destra guidata dal partito Likud capeggiato dal primo ministro Begin. Costui riuscì a rompere l’immobilismo israeliano: in politica interna controllando gli scioperi e mettendo in vendita le industrie nazionalizzate; in politica estera rinforzando l’alleanza con gli USA e avvicinandosi ad alcuni paesi arabi e africani. Nel 1977 Begin si accordò con il presidente egiziano Sadat, producendo una svolta nei rapporti con il maggior paese del mondo arabo.
Seguirono una serie di coalizioni di centro-destra guidate da Begin (1977-83) e Shamir (1983-84, poi 1986-92), poi nuovamente i laburisti con Rabin. Dalla fine del 1987 Israele dovette affrontare uno stato di rivolta semipermanente (intifada) nei territori palestinesi occupati. Il 13-9-1993 a Washington Israele e OLP hanno infine firmato una Dichiarazione di principi, che non ha però risolto il problema mediorientale.

© Giovanni Scattone 2011