mercoledì 9 marzo 2011

Fichte

Il primo grande rappresentante dell’idealismo tedesco dell’Ottocento è Johann Gottlieb Fichte (1762-1814). Nato a Rammenau, studiò teologia a Jena e a Lipsia; fu inizialmente influenzato dal pensiero kantiano, tanto che un suo scritto pubblicato anonimo col titolo Ricerca di una critica di ogni rivelazione fu attribuito in un primo momento allo stesso Kant. Dopo aver insegnato all’Università di Jena dal 1794 al 1799, Fichte lasciò quella cattedra in seguito alle polemiche sorte sul suo presunto ateismo. Negli anni 1807-1808 invitò i prussiani alla resistenza contro Napoleone con i celebri Discorsi alla nazione tedesca, da lui tenuti a Berlino. Qui divenne in seguito professore, e per qualche tempo anche rettore, della neonata Università. Le sue opere principali sono raggruppabili in due periodi: a) periodo giovanile: Fondamento dell’intera dottrina della scienza, Fondamento del diritto naturale, Sistema della dottrina morale, La missione del dotto; b) periodo della maturità: Introduzione alla vita beata, Caratteri fondamentali dell’età presente.
La speculazione di Fichte prende le mosse dal criticismo kantiano, ma punta a superare la scissione fra fenomeno e noùmeno, fra come la realtà appare al soggetto e come essa è in sé. Il suo idealismo consiste nel considerare la soggettività dell’io come l’unica realtà, da cui dipende per intero l’esistenza delle cose esterne: “Lo scettico avrà sempre partita vinta finché si resterà attaccati all’idea di una connessione della nostra conoscenza con una cosa in sé, la quale, del tutto indipendentemente da essa, debba avere realtà. Uno dei primi fini della filosofia è pertanto quello di dimostrare palpabilmente la vanità di una tale idea”. La scelta fondamentale è dunque fra il dogmatismo, che ammette l’esistenza di una realtà esterna indipendente da noi, e l’idealismo: abbracciare questa seconda dottrina richiede per Fichte una particolare disposizione caratteriale. “La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inerte suppellettile che si può prendere o lasciare a piacere, ma è animato dallo spirito dell’uomo che lo ha fatto suo. Un carattere fiacco per natura […] non potrà mai elevarsi all’idealismo”.
Il punto di partenza del sistema idealistico di Fichte è l’io inteso come pura attività, puro pensiero; esso può concretizzarsi come attività solo se incontra davanti a sé un limite, il non-io, che rappresenta per l’io un ostacolo necessario e interno, posto dall’io stesso. Di fronte a quest’ostacolo l’io puro si frammenta dando origine alla molteplicità degli io empirici (gli individui umani) e dei non-io empirici (le cose). I tre principi basilari della dottrina della scienza sono pertanto i seguenti: a) l’io pone se stesso; b) l’io oppone a sé il non-io; c) l’io oppone, al suo interno, all’io divisibile un non-io divisibile. Questi tre principi esprimono il processo con cui l’io puro produce ogni cosa: se il mondo esterno ci appare dotato di un’esistenza autonoma dal pensiero è solo perché la soggettività assoluta dell’io puro dà origine alle cose in modo inconscio, mediante l’immaginazione produttiva. Il ruolo della conoscenza è proprio di consentire agli io empirici, ai soggetti umani, di prendere coscienza del fatto che ogni cosa nasce dall’attività pensante dell’io. Non solo il fenomeno, ma anche il noùmeno va inteso come interno al pensiero, e quindi l’unica cosa esistente è il pensiero come attività, l’io come attività, da cui tutto il resto ha origine.
Ma che rapporto c’è fra l’io puro, che si autopone come identico (io=io), e la pluralità degli io empirici? In primo luogo si può dire che l’io puro di Fichte, contrariamente all’ “io penso” kantiano, è trascendentale non rispetto agli oggetti della conoscenza ma rispetto ai molteplici io empirici; in secondo luogo gli io empirici non sono che momenti dell’io puro, e solo come tali hanno rilevanza. Analogamente, gli individui che appartengono alla specie umana non hanno significato e valore in quanto singoli; solo nel rapporto con altri esseri umani e nel reciproco riconoscersi come dotati di libertà e razionalità gli uomini possono dirsi propriamente tali: “L’uomo diviene un uomo solo tra gli uomini”. La dottrina di Fichte è stata anche definita “idealismo etico”, per sottolineare l’importanza dell’attività pratica dell’io che, nella sua incessante opposizione al non-io, è a fondamento pure dell’attività teoretica; e la morale individuale comporta anch’essa un continuo contrasto fra la razionalità e gli impulsi sensibili. L’uomo in cui la libertà morale vince la sensibilità è il dotto (Gelehrter), ossia l’uomo di cultura che ha il compito di educare i propri simili e di spronarli con l’esempio alla difesa della verità e dei valori più elevati: la missione del dotto, quindi, “consiste nel sorvegliare dall’alto il progresso effettivo del genere umano e nel promuovere costantemente questo progresso”. Lo stato nasce da un contratto sociale, con cui si stabilisce che ognuno può vivere del proprio lavoro e che spetta al governo garantire ai cittadini la sicurezza e il lavoro (o un’adeguata assistenza per chi non è in grado di lavorare). Nello scritto Lo stato commerciale chiuso Fichte sostiene inoltre che lo stato deve essere autosufficiente, producendo tutto ciò di cui i cittadini hanno bisogno e ispirando la propria politica economica a criteri di rigido protezionismo. Per tutelare i suoi membri, lo stato dispone di un potere di polizia, che cerca di prevenire le violazioni della legge, di un potere giudiziario, che constata le eventuali violazioni, e di un potere penale, con il compito di stabilire la pena adeguata.
A partire dal 1800, forse influenzato dalla rovente polemica sull’ateismo in cui era stato coinvolto, Fichte accentuò il carattere religioso del suo pensiero, pur senza rinnegare mai la dottrina esposta negli anni precedenti. Nelle ultime opere Dio non è identificato semplicemente con l’ordinamento morale del mondo, ma è concepito piuttosto come un Assoluto raggiungibile solo mediante uno slancio mistico-religioso.
Nello scritto Caratteri fondamentali dell’età presente è suggerita infine l’idea di un evolversi della storia umana secondo una serie di fasi, che conducono al progressivo imporsi della ragione. L’umanità sarebbe partita da un’età dominata dall’istinto, per poi passare attraverso l’epoca dell’autorità e quella della crisi (identificata con l’illuminismo), dirigendosi verso una futura epoca della morale, che segnerà il definitivo prevalere della ragione e della libertà.

© Giovanni Scattone 2011