martedì 22 marzo 2011

Neutralisti e interventisti in Italia

L’Italia entrò nel primo conflitto mondiale solo nel maggio del 1915, quando la guerra era già cominciata da 10 mesi, intervenendo a fianco dell’Intesa e contro gli imperi centrali. Fu una scelta sofferta, che spaccò politici e opinione pubblica fra “neutralisti” e “interventisti”.
Il 2 agosto 1914, appena scoppiata la guerra, il governo presieduto da Antonio Salandra aveva dichiarato la neutralità dell’Italia. Questa decisione era stata motivata dal carattere puramente difensivo della Triplice alleanza e dal fatto che l’Austria aveva agito contro la Serbia senza consultare gli italiani. La presenza di diffusi sentimenti antiaustriaci nell’opinione pubblica e il desiderio nazionalistico di completare il processo risorgimentale di unificazione (con la conquista di Trento e Trieste) portarono inoltre alla nascita di un movimento interventista antiaustriaco.
Gli interventisti. Interventisti furono innanzitutto i gruppi della sinistra democratica: i repubblicani di ispirazione garibaldina, i radicali di Bissolati (filofrancesi) e le associazioni irredentiste. A questi si aggiunsero, sorprendentemente, alcuni esponenti del movimento operaio: costoro speravano che un conflitto in Europa avrebbe portato con sé anche una rivoluzione socialista nei vari paesi. Fautori dell’intervento furono anche i nazionalisti di destra, che si unirono così ai democratici in uno schieramento trasversale. Più cauta fu la posizione del governo (dal primo ministro Antonio Salandra al ministro degli esteri Sidney Sonnino): una posizione condivisa anche dal principale quotidiano, il “Corriere della sera” di Luigi Albertini, di tendenze liberali moderate.
I neutralisti. L’ala più consistente dei liberali, che faceva capo a Giovanni Giolitti, aveva invece una posizione neutralista. Giolitti riteneva infatti che l’Italia non fosse preparata per il conflitto e pensava che avrebbe potuto comunque ricevere dagli imperi centrali un compenso territoriale come prezzo della neutralità. Contrario alla guerra era anche il papa Benedetto XV e, con lui, il mondo cattolico: oltretutto il papa non voleva che l’Italia si trovasse al fianco della Francia repubblicana e anticlericale contro la cattolica Austria-Ungheria. Prevalentemente contrari alla guerra furono inoltre i socialisti e la CGL. Interventista divenne però il socialista Mussolini, che nel 1914 fondò un nuovo quotidiano, “Il popolo d’Italia”, che si distinse nella campagna interventista.
I neutralisti erano inizialmente più numerosi, ma poco organizzati. Gli interventisti, invece, erano compattati dal desiderio di combattere contro l’Austria e di porre fine all’epoca giolittiana; inoltre gli interventisti appartenevano ai settori più dinamici della società, come studenti, impiegati, professionisti, piccoli borghesi in generale. Furono interventisti molti intellettuali: Giovanni Gentile, Gaetano Salvemini, Gabriele D’Annunzio (Benedetto Croce, invece, fu neutralista).
Ma ciò che decise l’esito dello scontro fra neutralisti e interventisti fu la posizione del re, del capo del governo e del ministro degli esteri: a loro spettava infatti, a norma dello Statuto, di prendere decisioni in campo internazionale. Costoro decisero di accettare le proposte dell’Intesa, firmando il 26-4-1915 il Patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia.
Il Parlamento italiano, in maggioranza neutralista, doveva però ancora ratificare la decisione: ma le numerose manifestazioni di piazza interventiste (nelle cosiddette “radiose giornate di maggio”) lo indussero a conferire i pieni poteri al governo. Così, il 23-5-1915, l’Italia dichiarò guerra all’Austria.

© Giovanni Scattone