giovedì 24 marzo 2011

Kierkegaard


Soren Aabye Kierkegaard (1813-1855) nacque a Copenaghen, dove si laureò nel 1841 con una tesi dal titolo Il concetto di ironia con particolare riferimento a Socrate. Si fidanzò con Regina Olsen ma decise in seguito di rompere il fidanzamento. A Berlino ebbe modo di ascoltare le lezioni di Schelling; gli ultimi anni di vita li trascorse a Copenaghen, dove entrò in polemica con la chiesa luterana danese. Le sue opere principali sono Aut-Aut, Timore e tremore, Il concetto di angoscia, Briciole di filosofia, La malattia mortale.
Kierkegaard pone in primo piano l’esistenza del singolo come individualità unica e originale; condizione caratteristica di tale esistenza è la possibilità, che comporta libertà ma anche angoscia di fronte alle infinite scelte possibili, oppure alla mancanza di possibilità. Scegliere una delle possibili linee di azione significa per il singolo escludere tutte le infinite linee di azione alternative. Inoltre, la possibilità è sempre rischio, perché può anche non realizzarsi: non vi è solo la “possibilità che sì”, ma vi è anche la “possibilità che non”. All’hegeliana conciliazione dialettica degli opposti (et-et) Kierkegaard contrappone l’alternativa fra possibilità di scelta che fra loro si escludono (aut-aut). Contrariamente a Hegel, non c’è più in primo piano l’unità del tutto ma il dramma della singolarità e della possibilità; non il progresso necessario ma scelte che reciprocamente si escludono; non la realtà razionale ma l’esistenza paradossale.
Alla base dell’individuo vi è dunque una scelta libera e non giustificabile razionalmente, e l’esistenza individuale può svolgersi secondo diverse forme o “stadi”: essi non seguono l’uno all’altro con un passaggio necessario, ma sono il frutto di una libera scelta, che determina l’eventuale ‘salto’ da uno stadio all’altro. Tre sono gli stadi fondamentali dell’esistenza: a) quello estetico; b) quello etico; c) quello religioso.
a) Lo stadio estetico è la forma di vita caratteristica di chi decide di vivere attimo per attimo, alla giornata, senza un programma di impegno a lunga scadenza; la vita estetica è esemplificata dalla figura del seduttore, che ne riassume i caratteri di discontinuità, dispersione e immediatezza. La vita propria dello stadio estetico non può però che sfociare nella noia e nella disperazione: di qui l’esigenza di passare a una forma di vita alternativa, rappresentata dallo stadio etico. b) Questo secondo stadio è esemplificato dalla figura del marito: egli vive la “ripetizione”, ossia l’impegno a riconfermare costantemente il passato, accettando ogni volta in modo nuovo di amare la stessa donna, di frequentare gli stessi amici, di svolgere il proprio ruolo nella società. c) Al secondo, che è quello etico o del dovere, si contrappone un terzo e più elevato stadio, quello religioso, caratterizzato dall’irruzione del divino nella vita dell’uomo. Questa irruzione è rappresentata in maniera vivida nella figura di Abramo, a cui Dio chiede di uccidere il figlio Isacco e quindi di disobbedire alle ingiunzioni della morale. In Abramo il contrasto fra principio etico, che impone di non sacrificare il figlio, e principio religioso, che richiede l’obbedienza incondizionata a Dio, è completo: Abramo sceglie l’abbandono irrazionale a Dio e in virtù di ciò suo figlio viene salvato. “La fede è un paradosso capace di trasformare l’omicidio del figlio in un’azione sacra e gradita a Dio, il paradosso che restituisce Isacco ad Abramo e di cui nessun pensiero può impadronirsi, poiché la fede comincia appunto là dove il pensiero finisce”.
Contrariamente all’eroe tragico, esemplificato da Agamennone che sacrifica la figlia Ifigenia ma ha il sostegno di tutto il popolo greco, l’eroe religioso come Abramo deve infrangere le leggi morali e giuridiche della sua gente e accettare il paradosso della fede. La fede in Dio è infatti paradossale, sia perché di Dio non si può dimostrare razionalmente l’esistenza, sia perché l’uomo può dare un valore alla propria finitezza solo abbandonandosi all’infinito: dinanzi all’incertezza dell’esistenza basata sul possibile, l’uomo si richiama con la fede al principio di ogni possibilità, a Dio che tutto può.
La storia non è, come per Hegel, lo svolgersi di uno sviluppo razionalmente necessario, ma il campo d’azione del possibile. Un evento storico è l’imprevedibile realizzarsi di una possibilità, e lo strumento che ci consente di conoscere la storia non è la ragione ma, in un certo senso, la fede: la ricostruzione storica comporta infatti la fiducia nell’attendibilità di documenti e testimonianze.
La vertigine che coglie l’uomo di fronte alla possibilità è il sentimento dell’angoscia: a differenza del timore, che riguarda qualcosa di specifico, l’angoscia non si riferisce a niente di preciso ed è in generale il disagio di fronte alla possibilità e al rischio della scelta. La disperazione, invece, riguarda il rapporto dell’uomo con se stesso: se infatti il singolo sceglie di essere se stesso si riconosce come limitato e imperfetto, e se d’altra parte decide di non essere se stesso si ritrova in una situazione di insostenibile scissione. La filosofia di Kierkegaard, incentrata sulla concretezza dell’esistenza individuale, sulla paradossalità della fede, sui concetti di angoscia e disperazione, sulla difficoltà della scelta, ha esercitato una profonda influenza sulla filosofia e sulla teologia del Novecento: si pensi ad esempio all’esistenzialismo o alla teologia dialettica di K.Barth.

© Giovanni Scattone 2011