venerdì 18 marzo 2011

La repubblica di Weimar

Dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, il Kaiser Guglielmo II fu costretto all’abdicazione. Subito dopo, il 9-11-1918, in Germania fu proclamata la repubblica e venne istituito un governo provvisorio guidato dai socialdemocratici. Intanto il successo della rivoluzione russa aveva acceso anche in Germania nuove speranze e nuovi timori, anche se la situazione sociale era diversa: mentre in Russia i contadini appoggiavano i progetti rivoluzionari operai, in Germania i contadini erano piccoli proprietari che non avevano granché da guadagnare da una rivoluzione. In Germania si verificò una frattura tra socialisti moderati e rivoluzionari. La minoranza socialista di sinistra, che si era opposta alla guerra, era uscita dal partito socialdemocratico fin dal 1916 e aveva fondato la Lega di Spartaco, diretta da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Il 1 gennaio 1919 la Lega di Spartaco si trasformò nel Partito comunista tedesco: la Luxemburg credeva nella “democrazia rivoluzionaria” e pensava a forme di autogestione operaia (anziché a una dittatura di partito, come i bolscevichi di Russia).
Nel gennaio 1919 il Partito comunista tedesco guidò un tentativo di rivoluzione a Berlino, ma durante una feroce “settimana di sangue” (4-13 gennaio 1919) la rivoluzione fu soffocata. Liebknecht e Luxemburg furono uccisi da corpi paramilitari di destra, i cosiddetti “corpi franchi”. Il potere rimase così ai socialdemocratici.
Nel febbraio 1919 si riunì a Weimar un’Assemblea costituente che in pochi mesi elaborò una costituzione democratica. La Germania diventava una repubblica federale dove il cancelliere rispondeva al Parlamento (Reichstag), che aveva il potere legislativo. C’era poi un presidente con ampi poteri, eletto direttamente dal popolo: il presidente era a capo dell’esecutivo e, in circostanze particolari, poteva legiferare direttamente per mezzo di decreti, aggirando il Parlamento. A queste ambiguità costituzionali si aggiunsero nella repubblica di Weimar i problemi sociali: infatti militari, industriali, banchieri, uomini politici, nobili, magistrati e proprietari terrieri formavano un blocco che controllava di fatto la repubblica e non si rassegnava alle regole della democrazia.
Gravi tensioni sociali si erano manifestate già verso la fine del primo conflitto mondiale, con l’ondata di scioperi dell’autunno 1918. Nel 1922 milizie dell’estrema destra nazionalista uccisero il ministro degli esteri Walter Rathenau, intellettuale e industriale ebreo che aveva organizzato l’economia nazionale durante la guerra.
Il problema dei debiti di guerra portò all’occupazione, da parte della Francia, della Ruhr (1923), un’area industriale ricca di miniere di carbone. Tale occupazione e la reazione del governo tedesco, che proclamò la resistenza passiva e lo sciopero generale, causarono danni ulteriori alla già zoppicante economia tedesca. L’inflazione, che aveva colpito la Germania dalla fine della guerra, raggiunse proporzioni mai viste. All’incapacità tedesca di risollevarsi dal disastro della prima guerra mondiale contribuì dunque l’incomprensione, da parte della Francia, delle obiettive difficoltà del paese sconfitto: i francesi si ostinarono a pretendere l’osservanza precisa delle clausole dei trattati di pace. I ritardi tedeschi nel pagamento delle riparazioni portarono, fra l’altro, alla citata occupazione militare della Ruhr, che a sua volta fu la causa principale della inflazione galoppante del marco. Se qualche speculatore ci guadagnò, per operai, funzionari e impiegati pubblici fu invece la rovina.
Nell’autunno del 1923 si trovò un accordo e la Francia annunciò il ritiro delle truppe dalla Ruhr; ma ormai in Germania si stavano sviluppando un estremismo politico di destra e uno strisciante antisemitismo.
Nonostante tutti questi problemi, il periodo della repubblica di Weimar fu estremamente fecondo dal punto di vista artistico e culturale: si pensi ai quadri di Otto Dix, all’esperienza della Bauhaus o all’espressionismo di certo cinema muto (come nel celebre Gabinetto del dottor Caligari).

© Giovanni Scattone 2011